Lunedì, 7 Gennaio 2008 Notizie

Del Sacrificio e dell'amore in memoria di Marco Maria Olivetti

Omelida della S. Messa celebrata il 4 gennaio u.s. nella Basilica di Sant'Agnese a Roma da mons. Bruno Forte

Sapienza" di Roma, di Filosofia della religione. Allievo di Enrico Castelli, ha diretto la rivista "Archivio di filosofia" e l'"Istituto di Studi Filosofici", da questi fondati. In tale veste continuò e diede nuovo impulso alla tradizione dei Convegni su tematiche filosofico-religiose, avviati nel 1961. La sua più recente e riuscita impresa accademica era stata l'istituzione della Facoltà di Filosofia nel 2001: l'aveva voluta fortemente, nella convinzione che la divisione della Facoltà di Lettere, legata a necessità di decongestionamento, dovesse essere l'occasione per dare risalto alla grande e antica tradizione di studi filosofici della Sapienza, creando una Facoltà dedicata solo e interamente alla Filosofia, l'unica esistente in Italia, di cui è stato Preside fino alla morte. In occasione dell'apertura del Colloquio di Filosofia della Religione 2008, presenti molti dei maggiori rappresentanti di questa disciplina in ogni parte del mondo, è stata celebrata una S. Messa presieduta dall'Arcivescovo di Chieti-Vasto, Mons. Bruno Forte, più volte relatore ai Colloqui e amico personale del Prof. Olivetti. "La Parola di Dio che è stata proclamata è quella che risuona oggi in tutte le Chiese della terra: vorrei leggerla come la lettera di Dio indirizzata a noi, che ricordiamo oggi in questa liturgia eucaristica l'Amico Marco Maria Olivetti. Lo faccio nella convinzione che in questa Parola è il Dio che è Amore che viene a parlarci, a ricordarci che non siamo soli in questo mondo e che la nostra casa è nella città celeste, dove non ci sarà più né dolore né morte, e dove Marco è entrato quel 28 Ottobre del 2006. "Da quella città - scrive Agostino - il Padre nostro ci ha inviato delle lettere, ci ha fatto pervenire le Scritture, onde accendere in noi il desiderio di tornare a casa" (Commento ai Salmi, 64, 2-3). Ci avviciniamo dunque a questa "lettera di Dio", con la trepidazione e il desiderio con cui un cuore che ama legge le parole della persona cara. A offrirci il filo conduttore in questa lettura sarà il tema del "sacrificio", scelto per il "Colloquio Castelli" di quest'anno, il primo, dopo tanti da Lui organizzati e magistralmente diretti, che Marco non presiederà. Che cosa sia sacrificio ce lo fa comprendere già la prima delle letture ascoltate: rendere sacro qualcuno o qualcosa vuol dire anzitutto "separarlo" per Dio, consegnarlo così totalmente a Lui, che nessuno e nulla possa più strapparlo dalle Sue mani. È il senso delle parole forti, esigenti, che abbiamo ascoltato dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (1 Gv 3, 7-10): "Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio. Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi non ama il suo fratello". Nascere da Dio, nascere dall'alto non è opera d'uomo: a renderci giusti può essere solo il Giusto, lo "zadiq" venuto da Dio che ci rende figli di Dio, "separandoci" per il Padre Suo in unione piena e perfetta con Lui: "Figlioli, nessuno v'inganni. Chi pratica la giustizia è giusto com'egli [Gesù] è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo". Nello scenario drammatico della lotta col Principe di questo mondo, Gesù, il Giusto, il Figlio di Dio, è venuto a rendere giusto della Sua giustizia chiunque creda in Lui e accetti di appartenergli senza condizioni e senza ritorno. In Gesù il "sacrificio" ebraico, che trova il suo modello assoluto nella scena della "aqedah" di Isacco, "legato" da Abramo suo padre per essere sacrificio a Dio secondo una logica di fede pura ed assoluta, viene per così dire 1 rovesciato: non è l'uomo che sacrifica all'Eterno il proprio Figlio amato, ma è l'Eterno che sacrifica per l'uomo il Figlio del Suo cuore. Se Abramo - secondo la lettura di Kierkegaard (in Timore e Tremore) - "ama Isacco con tutta l'anima, e quando Dio glielo domanda lo ama, se fosse possibile, ancora di più e solo così egli può farne il sacrificio", il Padre nel consegnare Suo Figlio giusto ci ama di amore infinito e proprio così compie il sacrificio infinito: "Dio - scrive Origene - gareggia magnificamente in generosità con gli uomini: Abramo ha offerto a Dio un figlio mortale senza che questi morisse; Dio ha consegnato alla morte il Figlio immortale per gli uomini" (Homilia in Genesim, 8: SC 123, 36-43) . La morte in Dio è il sacrificio di Gesù, che proprio così ci dice come amore e morte siano inseparabili nel sacrificio che vince la morte: il sacrificio che ci rende giusti, perché ci separa per Dio in unione al Figlio consegnato per noi, è unità di morte e di vita a favore della vita. Proprio così esso non è solo l'atto di un istante, ma il dono di tutto l'esistere, la consegna piena e definitiva di sé. Chi vuole entrare nel sacrificio del Figlio, deve farlo con il cammino della sua intera esistenza. Ce lo ha fatto comprendere la pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 1, 35-42): ai discepoli del Battista che gli chiedono "Rabbì, dove abiti?", Gesù risponde non con una indicazione, ma con un invito: "Venite e vedrete". Il sacrificio è sequela, avventura del cuore aperto alla sorpresa di Dio, fiducia nell'impossibile possibilità che il Suo amore dischiude. E l'ora di quel "sì" trasforma il tempo, rendendolo da tempo pesante degli affanni e delle cure, tempo lieve della grazia e della novità di vita. Il "krònos" diventa "kairòs", istante che si ricorderà per tutta la vita perché durerà per la sua intera durata. "Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio". Quando si è consegnata la propria vita all'Amato, quando si è accettato di fare il sacrificio di sé nella totale sequela di Lui, allora il Messia è venuto, e l'ora del tempo che passa è divenuta l'ora dell'eternità, da testimoniare agli altri per la sovrabbondanza del cuore: "Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: 'Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)' e lo condusse da Gesù". È a questo punto che si scopre come il sacrificio risponda a una precisa chiamata, a uno sguardo che ti ha avvolto e ti ha toccato il cuore, a una parola che ti ha cambiato il nome e ha restituito a te la verità di te stesso: "Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: 'Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)'". Il sacrificio è vocazione, risposta libera a una libertà donata, necessità di un amore che obbliga proprio perché è gratuito e ti rapisce a te stesso. Nel sacrificio, vissuto come consegna suprema d'amore, si comprende che, veramente, "c'est l'amour qui oblige" (Paul Ricoeur), è l'amore l'incontro perfetto di libertà e di necessità, dove l'ora del fato diventa l'ora della grazia e l'ultimo addio si trasforma nella generosa consegna del dono compiuto. È alla luce di tutto questo che vorrei ricordare stasera con Voi, colleghi e amici, discepoli ed estimatori, Marco Maria Olivetti: la Sua vita è stata "sacrificio", precisamente nel senso in cui la Parola ci ha aiutato a comprendere. Lo è stata per il triplice carattere che abbiamo indicato: consegna totale, cammino incessante, risposta a una vocazione che non conosce ritorno. La consegna totale Marco l'ha vissuta dedicandosi senza riserve alla causa della Sua vita di uomo e di pensatore: la "filosofia della religione" è stata per lui la cifra di questa consegna. Se - come ha scritto una volta Novalis - "filosofia è propriamente nostalgia: il desiderio di tornare a casa", Marco è stato filosofo in senso puro, assoluto: la sua interrogazione radicale si è mossa sempre intorno alla nostalgia di quel ritorno, al desiderio di quella casa ultima e vera. "De sideribus", "dalle stelle" nasce il de-siderio: ed è il desiderio del ritorno, del ri-possedere a livello di coscienza ciò che siamo a livello d'esistenza. Una filosofia che non si interroghi su questa nostalgia, semplicemente non è: mai il pensiero di Marco si è misurato con meno che questo orizzonte radicale. Perciò, in lui "filosofia della religione" non è mai stata l'occuparsi di una "provincia dello spirito", come intendeva la Modernità da Scheiermacher a tutti i suoi epigoni, ma sempre e solo un occuparsi della totalità, del tragico del mondo, del senso della vita, della via da percorrere. I "Colloqui Castelli", da lui infaticabilmente diretti dopo averne raccolto il testimone dal Suo Predecessore e Maestro, ne sono prova evidente. A questa meditazione diuturna, alla sua promozione fra gli uomini, Marco ha 2 dedicato la vita: ed anche l'opera di organizzatore di cultura e di formatore di allievi, culminata nella presidenza della neonata Facoltà di Filosofia della Sapienza, va letta in questa luce. La vita del nostro Amico è stata, però, "sacrificio" anche nel senso dell'inesausto andare, della risposta fedele al "Venite e vedrete": Marco Maria Olivetti era e ostinatamente rimaneva uno spirito curioso, folgorato dal bisogno e dal gusto di imparare costantemente. Anche per questa incessante itineranza, il suo pensiero era sicuramente arduo per la divulgazione. Coniugava una conoscenza profonda della grande filosofia tedesca con una passione per il confronto con le ultime tendenze della filosofia analitica della religione, la fenomenologia husserliana, l'alterità levinasiana, la metaforica di Ricoeur, l'essere di Heidegger, la prospettiva di Apel e Habermas, l'ermeneutica di Gadamer. Aveva ampie conoscenze nei campi della sociologia, della storia dell'arte, del diritto, della teologia, dell'architettura. Si dedicava con passione esigente a traduzioni di classici tedeschi, che gli prendevano anni ed improbe fatiche. Uno dei cardini della sua opera maggiore, Analogia del soggetto, è la tesi che "l'essenza dell'essere umano non esiste": anche così egli concepiva l'uomo, e la sua propria umanità, come un continuo, doveroso edificarsi. In questa luce si comprende come per lui l'etica - in quanto dimora e in quanto costume - fosse la filosofia prima, la possibilità stessa di pensar l'umano e di considerarlo come esistente, in quanto anelito verso il proprio compimento inteso anche come incessante superamento. Questo è per lui l'orizzonte di senso entro cui si dà la presenza di Dio per il filosofo: non il Dio delle certezze assodate, ma il Dio dell'esodo e del Regno, dell'alleanza e della promessa, della Parola e del Silenzio che chiama. Su questa via, la vita di Marco può essere considerata "sacrificio" come risposta ad una vocazione: lo mostra la dedizione al Suo impegno, la generosità e l'attenzione a tutti, specie ai giovani allievi, che lo caratterizzava. Olivetti è convinto che parlare di Dio nella contemporaneità è parlare dell'intersoggettività che svela e dispiega l'essere differenziandolo e intervallandolo; la crisi della metafisica come onto-teologia, nella sua lettura si è mossa parallelamente con il dispiegamento di una filosofia del soggetto, una filosofia dell'eccedenza indisponibile dell'alterità. Non è dunque più possibile pensare a Dio e all'essere, ma all'Altro e al Dio al di là di ogni univocità o univocazione. Il processo che va dalla metafisica onto-teologica procede in parallelo con il passaggio dal "cogito" al "loquor", dall'"io penso" all'"io parlo", anzi all'"io sono parlato". La filosofia come "analogia" del soggetto è la filosofia del soggetto come filosofia del soggetto parlante e dialogante con un'alterità sempre precedente ed eccedente, che vanifica ogni prova ontologica dell'esistenza di Dio, ma che fonda la vita intera come risposta ad una vocazione. In conformità a questo stile dialogico strutturale, Marco ci ha lasciato nel silenzio rispettoso che merita la sua figura, che risaltava superba, dignitosa e tuttavia umile, riservata ed equilibrata. In quel 28 Ottobre 2006 l'ha raggiunto l'ultima chiamata. Forse anche allora avrà detto, come amava ripetere con una delle sue espressioni tipiche: "Vede, io non me ne intendo". E Colui che lo ha chiamato per l'incontro eterno avrà forse sorriso di quest'ultima, sofferta ricerca della precisione. Si è conclusa così la vicenda terrena di un Pensatore cattolico in una università laica, rispettato da tutti, amato da tanti. Ora Marco contempla faccia a faccia quel Cristo, il cui "sacrificio" è stata la chiave misteriosa della Sua esistenza. È perciò al Dio crocifisso che vorrei rivolgere l'ultima parola di questa mia meditazione ad alta voce, con Lui e con Voi tutti, suoi amici, estimatori, colleghi e discepoli. Lo faccio con le parole di una preghiera medioevale francese, che ripeterò nelle lingue dei nostri Colloqui, quasi a estrema memoria della passione per l'accoglienza dell'altro, che spingeva Marco a cercare di parlare sempre la lingua dell'altro: 3 4 Jésus crucifié! Toujours je te porte avec moi, à tout je te préfère! Quand je tombe, tu me relèves, quand je pleure, tu me consoles, quand je souffre, tu me guéris, quand je t'appelle, tu me réponds. Tu es la lumière qui m'illumine, le soleil qui me réchauffe, l'aliment qui me nourrit, la fontaine qui me désaltère, la douceur qui m'enivre, le baume qui me restaure, la beauté qui m'enchante. Jésus crucifié ! Sois, toi, le défenseur de ma vie, mon réconfort et ma confiance dans mon agonie. Et repose sur mon coeur, quand viendra ma dernière heure. Amen ! Jesus Crucified! I always carry You with me, I love You above all other things. When I fall, You raise me up. When I weep, You bring me comfort. When I suffer, You heal me. When I call on You, You answer me. You are the light enlightening me, the sun warming me, the food nourishing me, the spring-water slaking my thirst, the sweetness filling my senses, the balm restoring me, the beauty enchanting me. Jesus Crucified! Be my defense in life, and my comfort and confidence in my last agony. And rest Your head on my heart At my last hour. Amen! Gekreuzigter Jesus! Immer trage ich Dich bei mir, Dich ziehe ich allem vor. Wenn ich falle, richtest Du mich wieder auf. Wenn ich weine, tröstet Du mich. Wenn ich leide, heilst Du mich. Wenn ich Dich rufe, antwortest Du mir. Du bist das Licht, das mich erleuchtet, die Sonne, die mich wärmt, die Speise, die mich nährt, die Quelle, die meinen Durst löscht, die Süβe, die mich berauscht, der Balsam, der mich erquickt, die Schönheit, die mich entzückt. Gekreuzigter Jesus! Sei Du mein Schutz im Leben, mein Trost und meine Zuversicht, in meinem Todeskampf. Und ruhe Du auf meinem Herzen, wenn meine letzte Stunde schlägt. Amen. Gesù Crocifisso! Sempre Ti porto con me, a tutto Ti preferisco. Quando cado, Tu mi risollevi. Quando piango, Tu mi consoli. Quando soffro, Tu mi guarisci. Quando Ti chiamo, Tu mi rispondi. Tu sei la luce che mi illumina, il sole che mi scalda, l'alimento che mi nutre, la fonte che mi disseta, la dolcezza che m'inebria, il balsamo che mi ristora, la bellezza che m'incanta. Gesù Crocifisso! Sii Tu mia difesa in vita, mio conforto e fiducia nella mia agonia. E riposa sul mio cuore quando sarà la mia ultima ora. Amen!".