Mercoledì, 25 Dicembre 2024 Nazionali

IL NATALE NON E’ UGUALE PER TUTTI

LA CARITAS VALUTA LA PRESENZA DI 5,7 MILIONI DI ITALIANI POVERI

 Molto più soli, molti più poveri. La fotografia che la Comunità di Sant’Egidio fa del nostro Paese non riflette l’immagine di crescita e stabilità che il governo sta diffondendo. Quasi il 10% della popolazione nazionale, 5,7 milioni di persone, vive in povertà assoluta. Si tratta di 2 milioni e 200mila famiglie.

Il dato è quasi triplicato rispetto a 16 anni fa, quando le italiane e gli italiani in stato di fragilità dal punto di vista sociale erano il 3,6%. Ancora una volta il Sud e le isole sono le zone maggiormente interessate ma, adesso, anche le regioni settentrionali sono colpite.

A dispetto di ogni propaganda, «i dati Istat e della Caritas – ha detto Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio – sono incontrovertibili. Un italiano su dieci non ha i mezzi necessari per vivere una vita dignitosa». I numeri sono stati diffusi nella conferenza stampa di presentazione della trentacinquesima edizione della guida “Dove mangiare, dormire, lavarsi” a Roma 2025.

Impagliazzo ha sottolineato che povertà, esclusione sociale e solitudine vanno a braccetto. E ha consegnato al governo una lista di interventi urgenti. “Il ministero della Salute implementi la legge 33 per l’assistenza socio-sanitaria degli anziani con i decreti attuativi», ha chiesto. Premendo anche per l’estensione dell’assegno di inclusione a più fasce d’età e anche a persone che non hanno figli. La Repubblica, con l’articolo 3 della Costituzione – ha spiegato – ci dice che vanno rimossi gli ostacoli a una vita dignitosa. Noi ci siamo per farlo, chiediamo agli enti locali e allo Stato di fare la propria parte”.

I NUMERI DEL RAPPORTO CARITAS

Oggi in Italia vive in una condizione di povertà assoluta il 9,7% della popolazione, praticamente una persona su dieci. Complessivamente si contano 5 milioni 694mila poveri assoluti, per un totale di oltre 2 milioni 217mila famiglie (l’8,4% dei nuclei). Il dato, in leggero aumento rispetto al 2022 su base familiare e stabile sul piano individuale, risulta ancora il più alto della serie storica, non accennando a diminuire.

Se si guarda infatti ai dati in un’ottica longitudinale, dal 2014 ad oggi la crescita è stata quasi ininterrotta, raggiungendo picchi eccezionali dopo la pandemia, passando dal 6,9% al 9,7% sul piano individuale e dal 6,2% all’8,4% sul piano familiare.

Dal 2014 al 2023 il numero di famiglie povere residenti al Nord è praticamente raddoppiato,
passando da 506mila nuclei a quasi un milione (+97,2%); se si guarda al resto del Paese la crescita
è stata molto più contenuta, +28,6% nelle aree del Centro e +12,1% in quelle del Mezzogiorno (il
dato nazionale è di +42,8%).

Oggi in Italia il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord supera quello di Sud e Isole complessivamente. L’incidenza percentuale continua a essere ancora più pronunciata nel Mezzogiorno (12,0% a fronte dell’8,9% del Nord), anche se la distanza appare molto assottigliata; nove anni fa la quota di poveri nelle aree del Meridione era più che doppia rispetto al Nord: 9,6% contro il 4,2%.

In Italia più che nel resto d’Europa le difficoltà economiche sembrano destinate a perpetuarsi di
generazione in generazione. Chi è cresciuto in famiglie svantaggiate tende a trovarsi, da adulto, in
condizioni finanziarie precarie. Un circolo vizioso che colpisce il 20% degli adulti europei tra i 25 e
i 59 anni che, a 14 anni, vivevano in una situazione economica difficile. In Italia, il dato sale al 34%, segno di un’eredità che pesa sul futuro. Valori più alti di povertà ereditaria si raggiungono solo in Romania e Bulgaria

Accanto alla questione “settentrionale”, un altro nodo da richiamare è quello della povertà minorile, che da tempo sollecita e preoccupa.

L’incidenza della povertà assoluta tra i minori oggi è ai massimi storici, pari al 13,8%: si tratta del valore più alto della serie ricostruita da Istat (era 13,4% nel 2022) e di tutte le altre fasce d’età. Lo svantaggio dei minori è da intendersi ormai come endemico nel nostro Paese visto che da oltre un decennio l’incidenza della povertà tende ad aumentare proprio al diminuire dell’età: più si è giovani e più è probabile che si sperimentino condizioni di bisogno.

Complessivamente si contano 1milione 295mila bambini poveri: quasi un indigente su quattro è dunque un minore.

Preoccupa poi il dato sull’intensità della povertà: i nuclei dove sono presenti bambini appaiono i più poveri dei poveri (avendo livelli di spesa molto inferiori alla soglia di povertà).

Accanto alla povertà minorile, un altro elemento di allarme sociale che si coglie dagli ultimi dati Istat rilasciati lo scorso 17 ottobre, riguarda i lavoratori: continua infatti a crescere in modo preoccupante la povertà tra coloro che possiedono un impiego.

Complessivamente tocca l’8% degli occupati (era il 7,7% nel 2022) anche se esistono marcate differenze in base alla categoria di lavoratori; se si ha una posizione da dirigente, quadro o impiegato l’incidenza scende al 2,8%, mentre balza al 16,5% se si svolge un lavoro da operaio o assimilato (dal 14,7% del 2022).

Quest’ultimo in particolare è un dato che spaventa e sollecita, segno emblematico di una debolezza del lavoro che smette di essere fattore di tutela e di protezione sociale.

Nell’assenza di un piano nazionale di rilancio delle politiche abitative, il disagio attorno alla dimensione casa continua a permanere ad alti livelli. In Italia un milione e mezzo di famiglie vive in abitazioni sovraffollate, poco luminose e senza servizi come l’acqua corrente in bagno. Il 5 per cento dei nuclei fa fatica a pagare le rate del mutuo o l’affitto e le bollette. Di questi, la maggior parte non ha una casa di proprietà.

Le sentenze di sfratto per morosità nel 2023 sono state 30.702 rispetto alle 33.522 del consuntivo 2022.

Le sentenze per morosità restano la principale motivazione di sfratto: sul totale delle nuove sentenze, quelle per morosità sono pari al 78%. L’83% degli edifici residenziali è stato costruito prima del 1990 e il 57% risale a prima degli anni ’70.

Gli edifici in classe F e G sono più del 60%. Per adeguarsi alle direttive UE serviranno investimenti tra gli 800 e i 1.000 miliardi di euro.

Presso i centri di Ascolto Caritas, la dimensione abitativa risulta il terzo tra i problemi riportati, coinvolgendo il 22,7% dell’utenza in Italia (su un totale di circa 270mila beneficiari dell’azione Caritas).

Tale percentuale aumenta al 27% se si considerano solo le persone straniere mentre si riduce al 17,6% se si osservano i nuclei con cittadinanza italiana, segnale di una costante discriminazione nell’accesso alla casa che riguarda ormai qualsiasi ambito territoriale.

Eppure, le risposte istituzionali diminuiscono: dal 2022, i due pilastri delle politiche abitative socioassistenziali (Fondo locazioni e Fondo morosità incolpevole), non sono stati più rifinanziati.

Ogni anno le Caritas diocesane implementano 70/80 progetti socioassistenziali sul tema casa, che coinvolgono non solo le Caritas ma anche associazioni, cooperative o altri enti presenti nei territori.

In 6 anni (escluso il 2020 per la pandemia) sono stati realizzati 386 progetti, pari ad un impegno di oltre 42 milioni di euro tra 8xmille e cofinanziamenti delle diocesi. I target di riferimento spaziano dagli anziani ai senza dimora, dalle famiglie straniere ai giovani studenti fuori sede. Le nuove misure contro la poverta : Assegno di Inclusione e Supporto alla formazione lavoro, primi dati e domande

Il passaggio alle nuove misure contro la povertà, Assegno di inclusione e Supporto alla Formazione e al lavoro (che tra il 2023 e il 2024 hanno sostituito il Reddito di Cittadinanza), segna un cambiamento profondo nell’approccio alla povertà: con queste misure, il diritto a ricevere sostegno non è più garantito “solo” in base alla condizione di povertà.

Ora l’ADI (ad oggi percepito da 697.640 famiglie) è destinato solamente a nuclei familiari con persone non occupabili, come minori e disabili, mentre il SFL pè riservato a chi è ritenuto occupabile e richiede percorsi formativi per il reinserimento lavorativo. Questa distinzione ha ridotto della metà il numero di famiglie raggiunte rispetto al RDC, lasciando senza supporto 331.000 nuclei, molti dei quali sono residenti al Nord, vivono in affitto o sono nuclei monocomponenti, categorie escluse per via dei nuovi criteri in vigore. Sebbene esista una clausola di accesso per chi è in “condizione di svantaggio” (come senza dimora o vittime di tratta), il numero di beneficiari rimane limitato a causa di iter burocratici lunghi e vincolanti.

A livello territoriale, l’ADI mostra una copertura maggiore nelle regioni del Sud, ma solo in alcune aree la misura raggiunge un’incidenza significativa (fino al 7%), mentre al Nord, dove la povertà è in crescita, l’incidenza dell’ADI non supera l’1%.

Nel frattempo, il ruolo della Caritas è diventato cruciale: durante la transizione, molte famiglie si sono trovate senza sostegno e hanno dovuto fare affidamento su di essa. Anche per chi riceve la misura il supporto nel contatto con i servizi pubblici è diventano fondamentale per orientarsi tra procedure complesse e burocrazia digitale.

La Caritas, che sta monitorando l’attuazione delle nuove misure, sottolinea fin d’ora l’urgenza di ampliare la copertura di ADI e SFL, migliorare la chiarezza e semplificare l’accesso, auspicando il ripristino di un sistema di sostegno universale e continuativo che eviti l’esclusione delle tante persone in povertà assoluta presenti nel nostro paese. In sintesi Il passaggio all’ADI segna: 1. La fine dell’universalismo delle misure di sostegno alla povertà: Con le nuove misure ADI e SFL, l’Italia abbandona il principio di supporto universale “solo perché si è poveri”. L’ADI si rivolge ai nuclei con persone non occupabili (minori, disabili, anziani), mentre il SFL è per gli occupabili, individuati in base all’assenza di carichi di cura. 2. Si riduce della metà il numero di persone raggiunte dalle misure nazionali di sostegno alla povertà (dati Inps): Rispetto al RDC, l’ADI riduce drasticamente la platea di beneficiari, coprendo circa il 50% in meno di famiglie nei primi sei mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. 3. I nuclei “esodati” dal RDC: Circa 331.000 nuclei familiari hanno perso il RDC senza accedere all’ADI; di questi, il 57% non ha presentato domanda e il 43% ha visto la propria richiesta respinta. 4. Le categorie più penalizzate nel passaggio dal RDC a ADI e SFL (dati Inps): nuclei monocomponenti, quelli residenti al Nord e quelli in affitto sono i gruppi più frequentemente esclusi dal nuovo supporto ADI. 5. Disomogeneità Territoriale dell’ADI e povertà (dati Caritas): Il supporto dell’ADI varia geograficamente, con maggiore incidenza nel Sud Italia (fino al 7% in regioni come Campania e Sicilia) e meno dell’1% nelle regioni settentrionali, dove la povertà è in aumento. 6. Un iter poco amichevole per i più svantaggiati (dati Inps): Nonostante la possibilità per chi è in “condizione di svantaggio” (senza dimora, vittime di tratta, ex detenuti) di accedere all’ADI, il numero di beneficiari è molto ridotto a causa di un iter di accesso complesso e vincolante. 7. I bassi numeri del Supporto alla formazione e al lavoro (dati Inps): Il SFL, pensato per il reinserimento lavorativo attraverso percorsi formativi, ha dimostrato un impatto ridotto, con poche 10 persone coinvolte e percorsi di breve durata (mediamente 3-4 mesi), insufficienti a garantire un effettivo reinserimento nel mercato del lavoro. 8. Il ruolo delle Caritas, prima e durante l’ADI (dati Caritas): Durante il passaggio dal RDC all’ADI, la Caritas ha svolto un ruolo fondamentale, supportando le famiglie rimaste senza aiuto e offrendo assistenza pratica e orientamento. 9. Barriere burocratiche e digitali (dati Caritas): la mancanza di competenze digitali e la difficoltà nel navigare tra enti e pubbliche amministrazioni sono state riscontrate come barriere significative, che complicano ulteriormente l’accesso e la gestione dell’ADI. Questo è stato anche l’aiuto che le Caritas hanno offerto alle persone 10. Prospettive di advocacy e miglioramento: La Caritas suggerisce la necessità di migliorare la copertura per garantire il supporto ai poveri esclusi, riequilibrare gli importi per compensare le aree del paese in cui la povertà è in aumento (Centro e Nord), semplificare le procedure e ripristinare un sistema di supporto universale e continuativo per una maggiore equità nel contrasto alla povertà.