È consuetudine che in ogni comunità parrocchiale ci si ritrovi nell’ultimo giorno dell’anno per pregare e affidarsi a Dio con la preghiera del Te Deum. In passato Vasto era circoscritta all’interno delle mura del centro storico e la nostra celebrazione aveva senz’altro una rilevanza maggiore contandosi solo due parrocchie per i fedeli. Oggi non ci rattristiamo per il fatto di non avere più “l’esclusiva”, ma ci rallegriamo anzi che in Città ogni Parrocchia ringrazi il buon Dio. Che cosa però ci caratterizza ancora e perché ancora molti fedeli scelgono di partecipare a S. Maria Maggiore?
Senz’altro c’è un motivo storico che rende particolare questo Te Deum visto fu cantato da tutto il popolo in modo solenne nel 1707 in occasione del ritorno nei suoi feudi del marchese Don Cesare Michelangelo d’Avalos, dopo sette anni di esilio passati a Vienna. Ulteriore fascino è dovuto alla melodia settecentesca, unica nel suo genere che si differenzia dalla più comune di matrice gregoriana usata nelle altre comunità. Un altro polo di attrazione è l’allestimento, per questi giorni, dei numeri luminosi che rimandano al tempo che scorre ma che è comunque abitato dalla luce di Cristo, Signore del tempo e della storia.
Tutto questo, insieme alla particolare cura che cerchiamo di mettere nei vari momenti celebrativi, rende ancora speciale il nostro appuntamento.
Pensare che generazioni e generazioni di vastesi si siano ritrovati qui, nell’ultimo giorno dell’anno, cantando e pregando per affidare le loro vite al Dio di ogni misericordia, arricchisce di una particolare suggestione questo momento.
Mi permetto allora di consegnarvi alcuni spunti di riflessione alla luce del tempo che stiamo vivendo, attingendo anche dall’opportunità offerta dal Giubileo ordinario inaugurato da Papa Francesco sul tema “Pellegrini di Speranza”.
Un giubileo è un momento di ripartenza in cui si può approfittare della Grazia di Dio che ci rigenera, ci risana e ci sprona a cambiare vita senza bloccarci negli errori del passato, preparando i passi verso il futuro. Pur tuttavia se il Papa ha voluto dedicare il cammino alla virtù teologale della speranza è perché la ritiene particolarmente urgente.
Si pensi alle tante notizie che oggi potrebbero spegnere la speranza:
1. Nel mondo, oltre quelli più noti in Ucraina e sulla striscia di Gaza, vi sono 56 conflitti attivi, il numero più alto mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale. (È il dato che emerge dall’edizione 2024 del Global peace index, pubblicato a giugno dall’Institute for Economics Peace).
2. Nel solo 2024 l’Iran ha arrestato almeno 644 donne per uso improprio del velo (secondo l’associazione Hrana) e fra queste attualmente anche la giornalista italiana Cecilia Sala per le sue inchieste. Nel mondo la violenza interessa 1 donna su 3 e in Italia, i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. (Dati del Ministero della Salute, 25/11/2024).
3. Cresce nella nostra Nazione il consumo di alcool tra i giovani - soprattutto fuori pasto e in modo smodato - in un arco temporale di solito ristretto a 2-3 ore provocando sempre più spesso danni a persone a volte letali. La commistione con le droghe induce poi oggi ad una maggiore e diffusa violenza fra le strade e nelle mura domestiche.
4. L’Italia è sempre più sotto scacco della crisi climatica. Nel 2024, e per il terzo anno consecutivo, sono stati oltre 300 gli eventi meteo estremi che hanno colpito la nostra Penisola, arrivando quest’anno a quota 351. Un numero in costante crescita negli ultimi dieci anni: il 2024 ha visto un aumento degli eventi meteo estremi di quasi 6 volte, +485% rispetto al 2015.
Sono solo alcuni dei fattori che ci inducono a rattristarci e a far affondare la speranza. Dimentichiamo però che la speranza è per il cristiano una virtù teologale, ossia un dono di Dio, che ha la sua sorgente in un Altro, non è fondata sull’uomo. Simbolicamente infatti viene rappresentata come un’àncora: un peso che mantiene ferma e sicura la nave quando giunge sulla terraferma e che, nel Nuovo testamento, è rimando alla fiducia nelle promesse di Dio: grazie al mistero pasquale, si identifica con Gesù che, con la sua croce e risurrezione, ha condotto i credenti nella terraferma della comunione con Dio, dove egli è entrato per primo. Se dipendesse dall’uomo non avremmo insomma motivi per sperare, ma volendo fondare la nostra vita in Dio e affrontare il
futuro con Lui, possiamo sperare. Qui la grande e fondamentale differenza tra lo sperare meramente umano e la virtù della speranza.
La stessa bolla di indizione del Giubileo al numero 1 afferma: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio.
Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni.”.
La Parole di Dio, infatti, ci aiuta a fare memoria dell’azione di Dio nella nostra storia e così fare un esame di ri-conoscenza. Nella lingua italiana la riconoscenza ci ricorda che per vivere la gratitudine bisogna ri-conoscere il bene ossia conoscere di nuovo, meglio, più approfonditamente,
senza darlo per scontato. La riconoscenza ci rende felici mentre l’irriconoscenza è infelicità: bisogna porre attenzione – come scrive Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera di ieri - a non rendere il nostro cuore di pietra: “La paura che pietrifica il cuore ha due forme: paura di vivere e paura di morire. Il cuore pietrificato infatti si abbandona all’impotenza (non valgo niente, non sono padrone della mia vita, non posso cambiare questa situazione, non ne vale la pena…) o fuga dalla realtà (era meglio ai miei tempi, è colpa degli altri, questa vita fa schifo mi ritiro…). Il cristiano vive di ri-conoscenza e si conosce sempre in modo nuovo e riparte ogni giorno con questa speranza in modo speciale nel tempo del Giubileo perché: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5)
Proprio a partire dalla educazione del cuore che sa attingere dall’ascolto della Parola di Dio, che sa ri-conoscere il bene ricevuto vogliamo cantare le litanie per chiedere perdono per i nostri peccati contro la speranza ma, nello stesso tempo, far sentire la nostra voce nell’Inno del Te Deum per esprimere la nostra fiducia in quel Tu che ci viene a cercare per vincere la nostra solitudine e riempire il nostro “vuoto creaturale” con il suo folle amore.
Vogliamo riprendere il nostro cammino verso il 2025 riconoscendo il bene presente in quelle persone di buona volontà che sono lievito e sale nella nostra società, nei giovani – anche delle nostre comunità parrocchiali – che investono tempo per gli altri, degli adulti che lavorano con passione e cercano di seguire i loro figli, di quei professionisti che fanno il loro dovere con attenzione anche ai più emarginati, degli anziani e degli ammalati che continuano ad amare e a pregare per il mondo intero. Ma quante sono queste persone? Sono sempre poche!
Quantunque fossero poche, sono sempre un segno di speranza potente perché indicano una via diversa, restituiscono ossigeno e amore alla società, offrono modelli diversi ai giovani e coraggio nelle tempeste della vita: come ha fatto un Carlo Acutis, un solo ragazzo, che oggi attira folle di giovani in Assisi sulla sua tomba. Un giovane che ha vissuto la carità donando se stesso e che, innamorato dell’Eucaristia, ha saputo affrontare la malattia con la gioia di chi sa di appartenere a Dio.
La bolla “Spes non confundit” al numero 7 dice: «È necessario…porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza».
Ancora oggi vi sono segni di speranza nella nostra Città se si pensa alle tante associazioni benefiche che offrono sollievo ai piccoli e ai grandi segnati da sofferenza o da disabilità; come non ricordare i genitori poi che sanno educare i loro figli collaborando con le agenzie educative e cercando di guardare in faccia i problematiche, le sfide o le difficoltà di ogni genere che si presentano in famiglia. Penso anche a quelle persone che offrono gratuitamente il loro tempo nelle nostre Parrocchie, senza tirarsi indietro e - quando necessario - anche investendo risorse economiche per sostenere chi è più in difficoltà. Quante persone oneste continuano a darci testimonianza di altruismo!
È vero, molto ancora bisogna fare sulla revisione dei nostri stili di vita affinché adulti e piccoli sappiamo evitare ad ogni costo gli sprechi, condividere quello che abbiamo in più perché quello che facciamo per gli altri torni a nostro vantaggio.
In fondo, la vita del credente dovrebbe applicare le parole del fotografo Robert Doisneau diventato famoso per come ha saputo cogliere alcuni momenti di felicità nel quotidiano (è suo il famoso “Bacio”): “Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere”.
Ognuno di noi dovrebbe ripartire da qui: mostrare con la propria vita, a partire da se stesso, coltivando la speranza cristiana questo mondo in cui si possa vivere bene, in pace, ri-conoscenti, vincendo l’invidia e l’avidità con la gioia delle semplici cose fondate sulle relazioni autentiche.
Fotografiamo anche noi le cose belle che ci sono, fissiamole nel nostro cuore per farne memoria e per citare ancora il famoso fotografo per rendere più felici gli altri: “Si dovrebbe fotografare solo quando ci si sente traboccare di generosità per gli altri”. Abbiamo il dovere della generosità perché abbiamo ricevuto tanto, abbiamo ricevuto la bella notizia del Vangelo che ci autorizza a sperare e a lavorare con fiducia per il futuro dei nostri figli. Ci affidiamo a Dio con una preghiera:
L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico
Non importa, amalo
Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici
Non importa, fa’ il bene
Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici
Non importa, realizzali
Il bene che fai verrà domani dimenticato
Non importa, fa’ il bene
L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile
Non importa, sii franco e oneste
Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo
Non importa, costruisci
Se aiuti la gente, se ne risentirà
Non importa, aiutala
Da’ al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci
Non importa, da’ il meglio di te
(S. Teresa di Calcutta)