Mercoledì, 5 Agosto 2009 Folklore contemporaneoIl maiale?Alcune domande da porcidi Lia Giancristofaro
Bisognerebbe rendere onore a questo generoso animale domestico che per millenni ha sostentato le popolazioni, salvandole dalla denutrizione e sostenendole nei rigori invernali della “piccola glaciazione” documentata tra i secoli XIII e XIX. L’addomesticazione del maiale, il cui antenato è un mammifero simile al cinghiale, avvenne a partire dalla Mesopotamia e dalla Cina, dove esso compare persino come protagonista della religione popolare: nel calendario cinese, introdotto nel 2600 a.C., il segno del maiale capita ogni 60 anni, e chi nasce in questo anno, secondo la credenza, gode di buona fortuna per tutta la vita (l’ultimo anno del maiale ricompreso tra il 2007 e il 2008, è stato sontuosamente festeggiato). Effettivamente, si tratta di un animale assai produttivo, le cui carni, per di più, sono grasse e gustose: la scrofa partorisce due volte all'anno cucciolate di almeno 10/12 piccoli che, nel giro di un anno solare, possono raggiungere un peso ragguardevole, a seconda delle tecniche di incrocio. Anche in Europa, il maiale evoca la fortuna, la ricchezza e l’abbondanza di cibo e altri beni, tanto che il suo panciuto e inconfondibile profilo ricorre nel tradizionale salvadanaio. Eppure il nome, declinato al maschile o al femminile, costituisce un’ingiuria. Già da queste prime riflessioni, si capisce come il maiale sia connotato, nella nostra cultura, da grande ambiguità. Questo dipende dal fatto che il maiale, in alcune religioni del Mediterraneo (Ebraismo e Islam) riveste un senso trascendente ed è oggetto di prescrizioni alimentari per svariati motivi (insomma, cibarsi della sua carne è un tabu); invece, nella cultura gastronomica della penisola italiana e dei paesi europei più freddi esso aveva un significato fondamentalmente positivo, malgrado nell’ipocrita linguaggio delle classi egemoni il nome della bestia fosse sinonimo di oscenità e indecenza. Eppure, cibarsi di carne di maiale cruda e salata (insaccati), oppure cotta, fu un’abitudine consolidata in tutti i tempi, tanto nelle mense dei nobili e della borghesia, quanto sulle tavole più umili. Nella gastronomia degli insaccati spiccarono i Galli, i Germanici e gli Etruschi; d’altronde, la carne salata e grassa è stata, nella storia, un alimento energetico molto adatto ai viaggi e alle guerre di movimento. Nel Medioevo, l’allevamento intensivo venne sospeso e il maiale tornò allo stato brado negli spazi dove poteva procurarsi cibo, ovvero i boschi e le foreste. Esso tornò ad essere abbastanza simile al suo antenato, il cinghiale, col quale spesso si accoppiava. Tuttavia, la sua carne non smise di essere apprezzata; pare che tra il XIII e il XIV secolo fossero predominanti le bestie di colore scuro, rispetto a quelle dal pelo chiaro, considerate migliori dal punto di vista gastronomico perché le loro carni erano più tenere e più spesso lo strato di lardo. Nella Valle del Sinello e nell’intero Alto-Vastese, forse proprio alla presenza dei normanni si dovette la preponderanza dell’uso della carne suina, ma i primi allevamenti erano ancora molto lontani e i maiali continuarono per secoli a riprodursi nei boschi e nelle contrade. In seguito, chi aveva un cortiletto defilato, si adattò ad allevare il proprio suino in paese assieme al pollame e ad altri animali domestici, anche perché, soprattutto nei mesi invernali, i contadini si ritiravano dai campi dove trascorrevano i mesi di duro lavoro estivo, portando con sé gli animali, in modo da accudirli ed evitare che venissero rubati. La macellazione casalinga avveniva nel mese di gennaio, spesso il 16 o il 17, in concomitanza con la festa di s. Antonio abate. L’uccisione del maiale creava la dispensa del contadino e aveva un valore fondamentale nell'economia locale. Era in questi giorni, infatti, che il gelo, oltre a imporre le ferie al contadino, rendeva più opportuno macellare il maiale, le cui preziose carni potevano stagionare all’aria fredda e secca dei solai e delle cantine, senza il rischio che andassero a male. |