Lunedì, 29 Aprile 2013 VastoQuando si diffuse il culto di S. MicheleNel XVII° secolo l'edificazione del Sacro Tempiodi Nicolangelo D'Adamo Dopo il disfacimento dell’Impero Romano d’ Occidente, l’ Italia subì diverse invasioni che dominarono la Penisola o parti di essa per molti secoli, con il risultato di avere spesso più potenze straniere che si contendevano contemporaneamente il possesso dei nostri territori . Ciascun popolo invasore, in base alla presenza più o meno lunga in mezzo a noi, ha lasciato impronte indelebili negli usi, costumi, abitudini, linguaggi, istituzioni ecc. Basta cercarle e scoviamo tantissime eredità del tutto inaspettate. Per esempio quanti sanno che termini abituali come “fiadone”, il nostro tipico dolce pasquale, “Guardia” (da cui Guardiagrele o Guardialfieri), “Fara” (da cui Fara S. Martino, Fara Filiorum Petri o Farindola), “Scurcula” (da cui Scurcula Marsicana) e, ancora, persino il termine dialettale vastese la “vrennele” (la crusca) sono altrettanti termini Longobardi (presenti nella nostra regione dal 570 al 774)? Ancor meno, però, è conosciuto il particolare culto per S. Michele di quel popolo germanico. Al punto che, dopo la loro conversione nel 595, venne ritenuto il Santo nazionale e protettore. Per questa ragione i Longobardi diffusero in maniera capillare il culto dell’Arcangelo Michele (che la chiesa cattolica equipara ad un Santo). La massima espressione di questo culto fu la realizzazione dello storico santuario ipogeo di Monte Sant’Angelo nel Gargano che divenne, nel giro di pochi anni, meta di grandiosi pellegrinaggi. Pellegrinaggi che addirittura seguivano la Via Francigena e facevano la prima tappa alla Sacra di S. Michele in Val di Susa per poi attraversare tutta la Penisola, incontrando altri santuari Micaelici, fino al Gargano. Anche altrove molte chiese e cappelle furono realizzate all’interno di grotte o ripari sottoroccia. Il perché di questo culto nelle grotte è semplice: secondo la tradizione Lucifero fu sconfitto dall’Arcangelo Michele e conficcato, appunto, nelle viscere della terra. In Abruzzo a questo culto di origine longobarda sono dedicate decine di chiese ipogee: spesso si tratta di cavità magari con piccole sorgenti d’acqua, ritenuta santa e taumaturgica. Sono chiaramente delle pratiche cultuali molto antiche, parapagane, sopravvissute fino a noi. Il comprensorio che in Abruzzo meglio ricorda l’antico paesaggio longobardo è quello sui monti della Laga, in particolare il territorio di Valle Castellana. Comunque anche vicino a Vasto, a Liscia, c’è un eremo dedicato a S. Michele all’interno di una grotta dove, come vuole la tradizione, apparve S. Michele ad un pastore che aveva smarrito un vitello. Anche qui il gocciolamento dell’acqua provoca delle pozze, acqua che i fedeli sono soliti raccogliere con un mestolo di rame. All’interno della grotta vi sono due piccoli vani, oggi murati, frequentati anticamente dagli eremiti. A Vasto il culto di san Michele è antichissimo, al punto che è stato scelto come protettore della città. All’Arcangelo, però, a differenza di altri paesi dove i fedeli hanno scelto luoghi di culto ipogei, è stato dedicato, nel XVII secolo, un tempietto ottogonale di squisita fattura, con l’apertura rigorosamente ad oriente, come vuole la tradizione, visto che il culto micaelico ha origini orientali |