Mercoledì, 4 Gennaio 2023 Abruzzo“IN SVIZZERA INFERMIERI PAGATI IL TRIPLO”NURSID, “SANITÀ ITALIANA RISCHIA GRANDE FUGA”“Saremo in grado, con i nostri 1400 euro al mese netti, che rappresentano la magra retribuzione di un infermiere di casa nostra, tra le più basse d’Europa, di contrapporre strategie degne di tal nome per arginare quella che si annuncia come una nuova fuga di professionisti italiani nella vicina Svizzera, dove gli stipendi base possono toccare anche i 3500 euro netti mensili?” L’allarme, non certo l’unico arriva da Antonio De Palma, presidente Nazionale del Nursing Up, il sindacato degli infermieri. La carenza di infermieri, come pure del personale medico, in Italia e in Abruzzo, è tornato alla ribalta con l’approvazione della legge di bilancio nazionale, la Prima del governo di centrodestra di Giorgia Meloni, che prevede per il 2023 2 miliardi in più da destinare al fabbisogno sanitario standard, ma 1,4 miliardi saranno destinati a far fronte al caro bollette all’inflazione e ai vaccini anti Covid. La restante parte per servizi e personale (medici e infermieri) che, denunciano i sindacati di categoria, “non basterà neppure a coprire i prossimi pensionamenti. Senza personale, i 7,1 miliardi in arrivo dal Pnrr (solo per interventi strutturali) lasceranno le famigerate case di comunità vuote, riversando i bisogni di assistenza unicamente su pronto soccorso e ospedali, di per sé già incapaci a reggere l’impatto. Le mancate cure come ovvio si tramuteranno in aggravamenti delle patologie e nei casi più gravi in decessi”, sottolineano i due sindacalisti”. In base ai dati aggiornati a gennaio, della Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi) gli infermieri in Italia, compresi quelli di famiglia e comunità, sono 33mila circa, ma il fabbisogno ideale per gli ospedali dovrebbe essere di 63mila, con un ammanco mostruoso di altri 30mila. In Abruzzo sono 740 con un fabbisogno calcolato in 1759, con un deficit dunque di 1.019. In base alle dimensioni regionali, ne mancano quasi 27mila a Nord, circa 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole. Il rapporto infermieri-abitanti in Italia è di 5,5 infermieri ogni mille abitanti, uno dei più bassi d’Europa secondo l’Ocse. E non deve essere mai dimenticato che 90 infermieri sono morti durante la pandemia, vittime del covid.19 e oltre 173mila si sono infettati, per curare e salvare la vita al prossimo. Gravi carenze anche in Abruzzo. I numeri. Va però ricordato che la Giunta regionale dell’Abruzzo, su proposta dell’assessore alla Salute, Nicoletta Verì, ha approvato poche settimane fa una delibera che recepisce i piani del fabbisogno di personale delle Asl per il triennio 2022-2024. Un provvedimento che consentirà alle Asl di concludere le assunzioni programmate e le procedure di stabilizzazione, così da rafforzare gli organici sanitari e amministrativi delle aziende stesse con 1.535 nuove unità di personale in tre anni. Nel documento sono riportati i dati relativi al personale in servizio al 31 dicembre dello scorso anno e le proiezioni alla fine del 2022, del 2023 e del 2024. Complessivamente si passerà dai 13.722 dipendenti (tra dirigenza e comparto), in servizio a tempo indeterminato a fine 2021, ai 14.447 del 2022, ai 15.131 del 2023 e ai 15.257 del 2024. Nel dettaglio, i dipendenti della dirigenza passeranno dai 3.306 del 2021 ai 3.490 del 2024, mentre quelli del comparto da 10.416 del 2021 a 11.767 del 2024. Il piano potrà essere rimodulato e aggiornato nel periodo di vigenza, alla luce di eventuali nuove esigenze di carattere normativo, economico, organizzativo e funzionale che dovessero emergere. Attualmente il costo complessivo annuale per il personale Asl in Abruzzo è pari a 705 milioni e 624mila euro. Una risposta concreta, ma il punto vero, spiega ora Nursing Up, è che le retribuzioni sono troppo basse e non competitive rispetto a quelle offerte da altri Paesi europei, ed anche rispetto alla sanità privata, dove il lavoro è meno stressante, rispetto alla sanità pubblica. Una fuga già in atto denunciata più volte ad Abruzzoweb da Alessandro Grimaldi, primario del reparto malattie infettive dell’ospedale san Salvatore dell’Aquila e presidente regionale Anaso. Vediamo dunque nel dettaglio in cosa consiste il “fattore Svizzera”. “Crisi occupazionale e ricerca spasmodica di nuove figure professionali, con predilezione, naturalmente, per quelle più specializzate. Potremmo definirla così la situazione che “attanaglia” la vicina Svizzera, con cui esiste, da sempre, un legame economico e socio-culturale molto profondo, e dove, anche a partire dal 2023, secondo le indagini dei media locali, abbonderanno le offerte di lavoro in svariati settori del mondo lavorativo. Disoccupazione al 2 per cento e 250mila posti di lavoro vacanti. Cosa sta accadendo? Provate a indovinare, ancora una volta, quale sarà la professione più richiesta in terra elvetica, da qui a breve. Secondo il report degli esperti, sono oltre 7mila (6995) i posti vacanti nel settore infermieristico da coprire, subito, nei primi mesi del nuovo anno, per un fabbisogno, che già lo scorso anno, superava le 10mila unità”, spiega Nursing Up. Come si ricollegherà, dunque tutto questo, inevitabilmente, con la profonda instabilità del nostro sistema sanitario? “Saremo in grado, con i nostri 1400 euro al mese netti, che rappresentano la magra retribuzione di un infermiere di casa nostra, tra le più basse d’Europa, di contrapporre strategie degne di tal nome per arginare quella che si annuncia come una nuova fuga di professionisti italiani nella vicina Svizzera? Lì, in particolare nel Ticino, nella Svizzera italiana, da anni, lo abbiamo denunciato più volte in passato, è in atto uno vero e proprio esodo di infermieri lombardi, che in particolare scelgono il percorso del lavoro frontaliero, risparmiando quindi sulle spese di alloggio, e dove gli stipendi base possono toccare anche i 3500 euro netti mensili (5200-5600 euro lordi). Certo, tutto questo a fronte di una tassazione di non poco conto e di un costo della vita elevato, non è tutto oro quello che luccica, ci mancherebbe, ma stiamo parlando di stipendi che non hanno nulla a che vedere con la realtà sanitaria italiana, soprattutto se immaginiamo il mutato costo della vita e pensiamo che i nostri 1400 euro mensili ci collocano inesorabilmente sulla triste soglia della povertà. “Non possiamo non ricollegare quanto emerge dal mondo elvetico ai campanelli di allarme di numerosi ordini professionali, che in queste ore, tracciando i bilanci di fine anno, ci raccontano, di un Piemonte, per fare un esempio lampante, dove nel corso dell’anno appena concluso ben 109 infermieri avrebbero lasciato l’Opi di Cuneo, cancellando la propria iscrizione dall’albo. Non si tratta di un sassolino nello stagno: le dimissioni volontarie dalla sanità pubblica aumentano a vista d’occhio e sono legate ad una mancata valorizzazione che tocca l’acme, sfociando nei conclamati casi di quegli infermieri gettonisti, che preferiscono unirsi ad agenzie esterne, oppure aprire partita iva, per non parlare di coloro che decidono addirittura di abbandonare in pianta stabile la professione”. Ed ecco i numeri della grande fuga. Solo nel 2021, secondo i dati forniti dall’Associazione socio sanitaria territoriale lariana (Asst), sono stati ben 283 i dipendenti che hanno abbandonato volontariamente la professione. Di questi oltre un centinaio, “hanno passato il confine” e hanno scelto di diventare frontalieri, per lavorare in pianta stabile nella sanità elvetica. Negli ultimi due anni oltre 150 persone, tra i dipendenti della sanità pubblica, nelle province di Como e Lecco, si sono licenziate e si sono impiegate nella Confederazione elvetica. Nel settore sociosanitario del Ticino, che occupa in totale quasi 16mila dipendenti, 4300 sono i frontalieri. Di questi il 70% si compone di italiani (per la maggior parte lombardi). “E pensate che uno stipendio che si aggira intorno ai 3500 euro netti sia davvero da buttare via, paragonato alla nostra situazione retributiva attuale? Non dimentichiamo che ci sono, poi, realtà, come la svizzera tedesca, che arrivano a toccare i 5mila euro netti al mese per un infermiere, ma qui emerge certamente la maggiore difficoltà linguistica, anche se le richieste che arrivano da Berna e Zurigo, città con un alto della costa vita, superano ampiamente quelle ticinesi, dove la mancanza di infermieri non è così drammatica. Cosa aspettarci dal 2023? Le premesse, ahimè, per una nuova fuga di infermieri italiani in Svizzera, e non solo, ci sono tutte. Compito, non poco arduo, da parte della nostra politica, sarà creare da subito le condizioni per tenerci ben strette le nostre migliori eccellenze, ambitissime come non mai all’estero alla luce delle proprie competenze, che i nostri vicini ci riconoscono e che noi, da troppo tempo, indebitamente sembriamo ignorare”, conclude De Palma. |