Giovedì, 18 Gennaio 2024 AbruzzoRigopiano: oggi settimo anniversario della tragedia“Nel giorno del ricordo la speranza della Giustizia"È il 18 gennaio 2017, è emergenza neve nell’Abruzzo già profondamente colpito dallo sciame sismico che ha piegato il Centro Italia, e mentre migliaia di persone inviano richieste di aiuto, uno scenario da favola sul versante pescarese del Gran Sasso si sta per cancellare: 40 persone cercano una via di fuga. Solo 11 di loro usciranno dalle macerie di un resort di lusso. Oggi l’Abruzzo si ferma nel il giorno del ricordo, a 7 anni dalla tragedia di Rigopiano a Farindola (Pescara) per commemorare le 29 vite spezzate da una valanga e da responsabilità ancora oggi da chiarire. Un “viaggio tra giustizia e ricordo, tra rabbia e dolore”, di una vicenda ancora alla ricerca della verità. Quel giorno si registrarono anche quattro scosse di terremoto, di magnitudo 5.1, con epicentro nell’Aquilano. Gli ospiti dell’Hotel erano preoccupati, avevano paura e volevano andare via, ma c’era troppa neve. Poche ore prima della tragedia ci furono diverse richieste di aiuto: tra queste le telefonate di Gabriele D’Angelo, cameriere dell’Hotel, morto nel disastro. Richieste rimaste senza risposta, con gli ospiti dell’albergo bloccati dalla neve e in attesa dalle 15 di uno spazzaneve che non arriverà mai. A distanza di sette anni, i familiari delle vittime aspettano giustizia e sperano nel buon esito del processo che si sta svolgendo in Corte d’Appello, a L’Aquila. In primo grado il procedimento davanti al gup del Tribunale di Pescara, tramite rito abbreviato, si era concluso con 25 assoluzioni e 5 condanne. La pubblica accusa – rappresentata dal procuratore capo, Giuseppe Bellelli, e dai pm Andrea Papalia e Anna Benigni – aveva invece chiesto 26 condanne per un totale complessivo di 151 anni e mezzo di reclusione e quattro assoluzioni. Condannati in primo grado il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, a 2 anni e 8 mesi di reclusione; il dirigente del settore viabilità della Provincia di Pescara e il responsabile del servizio viabilità dell’ente, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (3 anni e 4 mesi di reclusione ciascuno); l’ex gestore dell’albergo della Gran Sasso Resort & SPA, Bruno Di Tommaso, e Giuseppe Gatto, redattore della relazione tecnica per l’intervento sulle tettoie e verande dell’hotel, ai quali è stata inflitta dal gup una pena di sei mesi di reclusione ciascuno. Nel processo in Appello, che ha preso il via il 6 dicembre scorso, i pm Andrea Papalia e Anna Benigni, applicati all’Aquila per questo processo, durante la requisitoria hanno chiesto la condanna di 27 dei 30 imputati coinvolti nel procedimento. La sentenza di secondo grado è prevista per il prossimo 9 febbraio. E per il settimo anno consecutivo il 18 gennaio i parenti delle vittime si ritroveranno sul luogo del disastro per commemorare i propri cari: alle 15 si terrà una fiaccolata statica davanti l’obelisco dell’hotel, a seguire deposizione di fiori, una messa all’interno del sito e lettura dei nomi dei “29 Angeli”. All’ora precisa in cui la valanga travolse l’albergo il coro di Atri intonerà “Signore delle cime” e infine 29 palloncini bianchi saranno liberati in cielo. Cerimonia anche a Montesilvano, dove il Comune, alle 10.30, ricorderà le vittime nel giardino di via Nilo a loro dedicato. “Si rinnova il dolore per la perdita dei nostri cari – dice Marcello Martella padre della 24enne Cecilia tra le 29 vittime – ma anche, se vogliamo, la speranza che venga fatta finalmente giustizia in questo processo di secondo grado, dopo che quasi esattamente un anno fa la sentenza di primo grado ci ha tagliato le gambe. Noi non ci arrendiamo, come ha fatto bene la Procura a non arrendersi e devo dire, incrociando le dita, che il clima che si respira qui a L’Aquila sembra completamente diverso rispetto a Pescara”. “Il dolore non passerà mai tanto qui gli unici condannati siamo noi all’ergastolo a vita. Fine pena mai per noi. Emanuele, mio figlio, lavorava nell’hotel da quattro anni. Oggi è difficile parlare. Posso dire che prima mi sentivo tradita. Ora mi sento anche ingannata. Cosa mi aspetto dal futuro? Una sentenza giusta”. A parlare è Paola Ferretti, mamma di Emanuele Bonifazi, una delle 29 vittime che morì sotto le macerie di Rigopiano, nel corso della commemorazione tenutasi a Montesilvano in occasione del settimo anniversario della tragedia. “Nessuno di noi – ha aggiunto la donna – cerca vendetta perché sappiamo che niente è nessuno potrà ridarci quello che ci è è stato tolto. Noi chiediamo semplicemente giustizia non solo per i nostri angeli, ma per tutti gli italiani perché quello che è successo a Rigopiano non debba accadere mai più. Chi amministra in nome e per conto dello Stato ha delle responsabilità e va punito nel modo dovuto”. Il sindaco di Montesilvano Ottavio De Martinis ha deposto un mazzo di fiori nel giardino di via Nilo, intitolato alle vittime di Rigopiano: alla cerimonia erano presenti anche alcuni familiari delle vittime. “Oggi – ha dichiarato De Martinis – ricordiamo la tragedia di Rigopiano nel giardino di via Nilo che da due anni abbiamo intitolato alle vittime di questa tragedia. Un evento che ha toccato molto da vicino la nostra città anche perché due delle vittime e cinque dei sopravvissuti vivevano nella nostra città. Oggi abbiamo deposto un mazzo di fiori affinché il ricordo delle 29 vittime resti sempre presente nei nostri cuori”. “Mi sto facendo forza, però solo io la forza che metto so com’è, è una forza distruttiva, adesso speriamo che il 9 febbraio vada tutto bene. Se non dovesse andare bene, non ci arrendiamo, però voglio crederci ancora nella giustizia perché la procura è stata veramente fondamentale”. Così Loredana Lazzari, madre di Dino Di Michelangelo, il poliziotto morto nella tragedia di Rigopiano insieme alla moglie Marina Serraiocco, a proposito del processo di appello sul disastro in corso all’Aquila: la donna, accompagnata dal figlio Alessandro, ha preso parte alla cerimonia che ogni anno si svolge a Chieti dinanzi al monumento che ricorda le vittime, presenti il sindaco Diego Ferrara e i rappresentanti delle forze dell’ordine. “Dino amava tanto il suo lavoro, lo amava veramente, io infatti quando vedo i colleghi mi commuovo di più nel vederli – ha spiegato – forse ci sarebbe stato ancora mio figlio se li avessero salvati perché dovevano salvarli, è una frase banale quella che dico perché è all’occhio di tutti, dei media, di tutti, l’Italia è indignata per questa sentenza che è stata fatta. La Procura adesso sta facendo di tutto perché hanno fatto un lavoro professionale, ma molto, molto umano, umano è dir poco, quindi speriamo che adesso questi giudici dell’Aquila capiscano veramente che noi abbiamo ragione: una forza interiore ci fa avere ragione, però purtroppo il 23 febbraio scorso non è stato così”. “Vendetta mai – ha concluso – vogliamo un po’ di serenità e pace per quegli angeli che non ci sono più, che poi appresso a mio figlio io ho perso anche mio marito per il dolore, non ha retto. Io mi sto facendo forza”. |