Venerdì, 3 Settembre 2010 Vasto

Padre Vincenzo D’Adamo, gesuita, ha raggiunto il traguardo dei 25 anni di sacerdozio

E' il responsabile della Cappella Universitaria presso la Sapienza di Roma.

A padre Vincenzo abbiamo chiesto di parlarci della scelta iniziale e dei suoi “primi” 25 anni sacerdozio: “Voglio iniziare con una citazione: San Pietro dice “Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. (1 Pietro, 2,5)”.Ricordando le parole di San Pietro, credo non sia retorico sottolineare come il sacerdozio – così come l’incontro con Gesù e il Vangelo, con la fede e la comunione ecclesiale che ne scaturiscono – sia un dono, una “grazia” nella vita concreta personale, un puro atto di amore gratuito di Dio”.

“Per me la vita sacerdotale – continua il gesuita - è motivata dall’intimo desiderio di identificarmi col Signore. Essere sacerdote: non semplicemente per stare con Lui come discepolo; non solo per vivere come Lui seguendo l’insegnamento del Vangelo e la dottrina della Chiesa che ne incarna il senso nella storia; ma per essere in Lui e con Lui identificato. La vita del Signore, infatti, è la bellezza, la bontà, è la verità più piena che io conosca. Ad essa mi sforzo di aderire: ma in verità, più che il mio impegno, è la forza di attrazione che promana dalla Sua vita che mi attrae e mi riconduce a Lui e alle cose Sue sante”.
”La forma concreta della mia vita sacerdotale – spiega Padre Vincenzo - si è chiarita progressivamente. L’ho riconosciuta e verificata nel tempo, nella spiritualità e nelle modalità religiose della Compagnia di Gesù. L’ incontro con i Gesuiti è avvenuto nei miei vent’anni, mentre mi formavo a Bologna, tra studio magistrale, lavoro, impegno sociale, amicizie. Nella vita apostolica della Compagnia – incarnata nella Chiesa e nel mondo di oggi - sperimento la gioia e l’impegno del ministero sacerdotale, che si è consolidato non solo grazie all’incontro con tante persone e comunità con le quali ho condiviso il cammino, ma anche grazie ad una lunga formazione”.

Padre Vincenzo D’Adamo ha iniziato la sua formazione con due anni di noviziato a Frascati (1976-1978), è proseguita con: due anni di studi filosofici a Napoli (1978-1980) nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale; due anni di insegnamento e di formazione in pedagogia e psicologia a Palermo (1980-1982); tre anni di studi teologici, di nuovo a Napoli (1982-1985). Al termine di questi è stato ordinato Diacono e poi Sacerdote, nella Chiesa del Gesù Nuovo, dov’è venerato Giuseppe Moscati. Quindi è stato trasferito a Roma per due anni di studi specialistici in Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana (1985-1987). Successivamente sono stato inviato in Belgio per collaborare all’apostolato europeo dei Gesuiti. Ma la formazione è proseguita ancora con un anno di spiritualità a Salamanca in Spagna, un master in bioetica -prevenzione dei comportamenti a rischio dei giovani- presso l’Università Cattolica di Lovanio.
“In Belgio – continua Padre Vincenzo - sono rimasto fino al 1998, operando nel Foyer Cattolico Europeo di Bruxelles, nella formazione religiosa e nella prevenzione dei comportamenti a rischio degli adolescenti nelle Scuole Europee della stessa città. Ho anche partecipato a varie iniziative interreligiose ed interculturali, e fondato e diretto una “casa per giovani”. Sono stati anni straordinari, nei quali la crescita personale, l’attività apostolica, l’insegnamento, l’esperienza internazionale, sono divenuti un tutt’uno col sacerdozio. Mi riconosco perciò in quanto ha detto il Santo Padre, Benedetto XVI, nell’ Omelia per la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, l’ 11 giugno scorso: Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore”.
Successivamente la Compagnia ha richiamato Padre Vincenzo in Italia per dirigere il Centro Giovanile Antonianum di Padova, e poi, da sette anni, gli ha affidato la conduzione della Cappella della Sapienza Università di Roma, in collaborazione col Vicariato di Roma.
“Qui – dice il gesuita - con una comunità di Confratelli e tanti collaboratori religiosi e laici, vivo il mio sacerdozio immerso nell’esperienza universitaria, tra formazione, studio, accompagnamento personale, iniziative culturali, preghiera, ricerca di fede, Eucarestia, vita ecclesiale aperta all’universalità. Il sacerdozio è diventato per me la via maestra per entrare sempre più in profondità nella comprensione della nostra esistenza umana e del mistero di Dio. E’ un privilegio che sperimento ogni volta che una coscienza si confida, che un’anima si confessa, che una benedizione si eleva, che si fa Comunione gioiosa e commossa con la vita del Signore”.

“Ora per tutto questo intendo rendere grazie alle persone care. Poiché il sacerdozio, come tutti gli aspetti importanti e decisivi della nostra vita, non solo si estende sugli altri, ma anche giunge a noi grazie a quella trama straordinaria e provvidente di relazioni umane e spirituali che ci costituisce. Infatti non solo si “diventa sacerdoti”, non solo siamo ordinati sacerdoti, ma siamo resi sacerdoti dalla comunione con gli altri: il sacerdozio viene così a noi e ci in-veste (e la “vestizione” nel rito di ordinazione ne è il segno tangibile) per la comunione ecclesiale ed umana, la più limpida e profonda, alla quale apparteniamo, che è la nostra storia. In essa Cristo è operante. Perciò, come non rendere grazie con gli amici, i parenti, i credenti di Vasto?”
“ Alla città di Vasto – dice padre Vincenzo - devo la mia sensibilità personale, culturale e sociale, e l’anima religiosa che mi accompagna; ai Salesiani devo la mia maturazione giovanile, affettiva, comunitaria e di fede; alla Parrocchia di San Pietro la mia formazione sacramentale ed ecclesiale, la mia iniziazione cristiana (penso sempre con gratitudine al parroco don Stellerino e alla cara Livia, la “mia catechista”). Alla Parrocchia devo anche le mie prime esperienze relazionali (dai pellegrinaggi, alle gite, dai ritiri, allo sport); alla mia famiglia, dalla cui linfa semplice, solida, onesta, laboriosa, aperta, ho tratto e traggo non solo la vita ma anche l’essenziale che mi costituisce: la mia struttura umana e spirituale, la mia fede e l’amore per il Signore, la mia libertà e la mia creatività sono resi tali grazie alla disponibilità continua dei miei familiari. Ad essi quindi devo i primi fondamenti umani e religiosi del mio sacerdozio, il primo desiderio di “identificarmi” col Signore. “Come non si è sacerdoti per se stessi, così non lo si è da soli, né da se stessi: si è costituiti sacerdoti. Ed io avverto di essere sacerdote con gli altri e per merito degli altri. Desidero perciò elevare il rendimento di grazie, ancora una volta, con le parole di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, poste sulla bocca dell’esercitante, al termine degli Esercizi Spirituali: Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo; tu me lo hai dato, a te, Signore, lo ridono; tutto è tuo, di tutto disponi secondo ogni tua volontà; dammi il tuo amore e la tua grazia; questo mi basta. (Esercizi Spirituali, 234).
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